Viaggio alle Fær Øer

Ho da poco terminato il libro Isola di Siri Ranva Hjelm Jacobsen, edito in Italia da Iperborea.

Parla di una giovane ventenne danese, la cui famiglia da parte di madre ha radici faroesi, ed è proprio qui, verso le isole Faroe (letteralmente isola delle pecore), che si reca in viaggio con i suoi genitori in seguito alla morte dei suoi nonni, con cui aveva un rapporto molto speciale: l’amata omma, la nonna Marita, che negli anni Trenta dalle Faroe si trasferì a Copenhagen per stare accanto al suo amato, Fritz (il nonno abbi), per rincorrere sogni di modernità e maggiore ricchezza. Un’occasione triste diventa lo stimolo per la contemplazione e l’interrogazione: perché sentiamo il bisogno di tornare dopo essere partiti? Cosa fa di una terra una casa? In che modo i nostri antenati e parenti definiscono il nostro passato, presente e futuro? Come si costruisce la nostra identità attraverso i cambiamenti tra le generazioni?

Queste sono alcune delle domande che la protagonista, non appena atterrata all’aeroporto di Vagàr, fa a sé stessa, chiedendosi cosa significhi avere radici in una determinata terra, i legami che ci uniscono alla nostra famiglia, come essi vanno a fissare la nostra identità e che cosa si possa effettivamente definire casa. Anche i suoi nonni, veniamo a sapere nel corso della narrazione, nonostante avessero lasciato l’isola, non furono mai abbandonati dal ricordo nostalgico di quelle terre selvagge battute dal vento e da un segreto anelito a ritornarci.

Avevo un ricordo di questo posto insieme ad abbi: quell’estate aveva piovuto senza interruzioni. Io avevo preso il mio primo bel 13 in geologia, onestamente anche l’unico. Omma era morta l’inverno prima e abbi era smarrito, fragile. Aveva nostalgia del Nord. quando arrivarono le vacanze, volammo tutti insieme a casa. Dicevamo così, da sempre. A casa, sulle isole. A casa, a Suduroy. A casa, a Sørvágur.
Mia madre è nata a Vordingborg, io nel più grande ospedale di Copenhagen. Si fanno tanti discorsi su cosa sia casa. Uno stato d’animo, le persone che s’incontrano, roba del genere. Per me erano solenni stronzate. Roba da cosmopoliti con lo zaino in spalla, che parlano con la bocca piena di terra, piena di carne. Che vanno in giro a masticare il mondo.
Casa è un toponimo, pensavo. Un nome geografico.
Ma quella volta, con abbi: un agosto umido e verde. Verde muschio, verde nebbia, verde bottiglia.

Le Faroe si aprono ai nostri occhi tramite quelli della protagonista come un mondo estraneo, a sé stante, quasi mitologico e sospeso nello spazio e nel tempo; a tratti ostile nei confronti dell’altro talmente sono forti, identitarie e coriacee le tradizioni che lo abitano: dalla caccia alle balene, alla notte di San Giovanni a giugno – Jóansøku – animata da regate, danze e canti fino all’arte culinaria di essiccare cosciotti di pecora al vento.

Le Faroe rivendicano la loro appartenenza non europea, difendono la loro peculiarità, persino la lingua è diversa dal danese, un altro elemento che contribuisce a creare estraneità nella protagonista che il faroese non lo domina totalmente. Un universo linguistico simile ma differente, ammantato da leggende e saghe che si perdono nella notte dei tempi, Siri Jacobsen in questo romanzo semi autobiografico è riuscita a unire la dimensione folkloristica (streghe del mare, le fate – huldra – che si nascondono sotto i massi in giardino e isole galleggianti che si spostano misteriosamente) a una più intima e universale, quale la ricerca di identità, il venire a patti con una nostalgia dai confini labili e quella del viaggio, che è ritorno a un luogo, a casa, ma anche partenza da un altro posto e in entrambi i gesti si insinua qualcosa di destabilizzante, un piccolo sradicamento che genera interrogazioni e ci mette di fronte punti di vista inediti.

Il tutto tratteggiato da una narrazione che fa avanti e indietro tra il presente e la storia passata della famiglia per scrutare nelle vite di chi è venuto prima, tramite un linguaggio immaginifico ed evocativo che ti fa quasi pensare che questo romanzo non sia stato scritto, ma dipinto.

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Leggendo il romanzo mi sono interrogata su quale posto possa mai avere la cucina vegana in un luogo così fortemente connotato dal punto di vista geografico e culturale come questo. Nel libro vengono fatte spesso menzioni alla cucina locale, la protagonista stessa mostra dei tentennamenti di fronte al consumo di carne

Avevo appena scoperto il riscaldamento globale, il consumismo, le macellazioni di massa, e rifiutavo la zuppa di carne con panna e pomodori pelati, che peraltro era all’ultimo grido.

ma i freezer di quasi tutta la popolazione faroese sono zeppi di pezzi di carne di balena, che è normale costume mangiare in questi luoghi. Per non parlare della skærpelår, la tradizionale coscia di pecora lasciata essiccare al vento, naturalmente salata dal sale che viene dal mare, che per qualche ragione, nonostante emani un odore putrido di carogna e di formaggio vecchio, è tanto apprezzata alla Faroe.

Io resto della mia opinione, sono arrivata a un punto in cui molto difficilmente riuscirei a buttare giù un pezzo di carne, lo trovo troppo scorretto e ingiusto nei confronti della vita dell’animale, per non parlare dei danni che questo causa all’ambiente. Ma se la prima ragione che spinge a smettere di mangiare carne è universalmente valida in quanto basata su un giudizio etico, la seconda può avere delle piccole eccezioni. Mi spiego meglio: credo che decidere di mangiare carne o pesce in un contesto in cui hai tutte le alternative possibili sulla tavola, quindi cibo vegetale o non vegetale in grandi quantità, facilmente reperibile, sia molto diverso dal farlo laddove invece di alternative non ne hai o ne hai molto poche, come è il caso delle isole Faroe.

Leggevo, e del resto è facilmente intuibile, che qui per via del clima la coltura di quasi tutti i vegetali è praticamente impossibile, salvo qualche tubero o radice, la stessa cosa per gli alberi da frutta, per cui la quasi totalità di frutta e verdura deve essere importata dall’estero a costi esorbitanti. Dunque nella dieta di un locale è molto difficile che siano presenti questi due elementi, per loro è più scontato e intelligente utilizzare quello che la natura offre loro in abbondanza praticamente a costo zero, ossia pesce – qualsiasi punto sulle isole Faroe non dista più di 5 km dal mare – o carne, per lo più agnello o pecora, anche qui, su circa 50.000 abitanti totali delle isole abbiamo 70.000 pecore. 

In un contesto del genere non dico che sia giusto – mi allontano da qualsiasi giudizio morale, sto solo cercando di applicare del sano raziocinio oltre al fatto che detesto i manicheismi – ma arrivo per lo meno a comprendere molto di più il consumo di carne e pesce perché la trovo una scelta, ripeto in un contesto geografico così particolare e circoscritto, più idonea e in sintonia con la natura e l’ambiente circostante, una scelta sostenibile, molto più che in tanti altri punti del nostro pianeta.

Detto questo, le vie che mi aprivano erano due: armeggiare con patate e barbabietole oppure cucinare qualcosa che ricordasse il mare senza utilizzare il pesce. Sebbene sia stata molto tentata dalla prima opzione, ho deciso tuttavia di percorrere la seconda e quelle che vi presento qui sotto sono delle crocchette di finto pesce in cui il sapore del mare viene evocato dalle alghe. Un piatto originale, estremamente piacevole, perfetto da abbinare con una maionese vegana o qualche altra salsina.

INGREDIENTI:

  • 100 g di tofu al naturale, asciugato dai liquidi in eccesso
  • 140 g di ceci lessati
  • 10 g di alghe varie (io ho usato la confezione de La finestra sul cielo acquistata da NaturaSì)
  • 20 g di daikon essiccato (lo trovate sempre da NaturaSì o in altri negozi bio)
  • 1 cucchiaio di lievito alimentare (facoltativo)
  • 1 cucchiaio di gomasio (potete sostituirlo mettendo più sale, io ne ho usato proprio pochissimo avendo già il lievito alimentare e il gomasio, che sono entrambi insaporitori)
  • 1 cucchiaio di olio evo
  • pan grattato q.b.
  • 50 g di semi vari (io ho usato un mix di semi di papavero e semi di sesamo)

PROCEDIMENTO:

Per prima cosa far reidratare le alghe e il daikon secco: vi basterà metterli in due ciotole, ricoprirli di acqua e aspettare una decina di minuti. Trascorso il tempo, scolateli e uniteli al bicchiere di un frullatore insieme a tutti gli altri ingredienti esclusi i semi. Anche il pan grattato vi consiglio di metterlo in un secondo momento: frullate prima per qualche minuto il tofu spezzettato, i ceci, le alghe e il daikon con i vari condimenti, dopodiché aggiungete tanto pan grattato quanto vi basta per ottenere un impasto facilmente modellabile con le mani.

A questo punto preparate una teglia da forno, oliatela leggermente, prelevate una cucchiaiata abbondante di impasto e tuffatela nei semi che avrete versato su un piatto. Formate delle crocchette allungate con le mani, o anche delle polpette tonde se preferite, e adagiate sulla teglia. Verranno fuori all’incirca 10 crocchette. Cuocete in forno preriscaldato a 180° per 20 minuti, finché saranno dorate, negli ultimi minuti io ho azionato la funzione grill.

Le ho servite infine con della maionese vegana, erano ottime!

Potete servirle come un originale antipasto o come secondo unendole per esempio a un contorno di patate.

10 libri da leggere a Natale

Eccoci, siamo entrati a pieno regime nell’atmosfera natalizia! C’è qualcosa riguardo a dicembre che mi fa sempre innamorare, una storia d’amore lieve e misteriosa tra me, il freddo, le luci, le camminate vestiti pesanti per le vie di Milano e i dolci di Natale alla cannella. Ciascuno ha i suoi piccoli riti durante le feste, la cosa che personalmente amo fare di più è mettermi addosso un bel maglione extra large, calzettoni comodi e mettermi di fronte al camino a leggere libri, possibilmente che siano in tema Natale, inverno, magia delle feste, grande Nord. Per questa ragione questa volta non ho intenzione di parlarvi di un libro in particolare, ma di proporvi una selezione di dieci libri perfetti da leggere durante il periodo natalizio e che possono diventare anche una bella idea regalo.

  1. IL PASTORE D’ISLANDA, Gunnar Gunnarsson (ed. Iperborea). Questo per me è il libro del Natale per eccellenza, che mi piace rileggere ogni anno. Si tratta di un centinaio di pagine che si possono terminare in un pomeriggio o due. Parla di Benedikt, pastore islandese che ogni anno la prima domenica d’Avvento si mette in cammino per riportare in salvo le pecore disperse sui monti, un modo tutto suo per festeggiare il Natale. In questa sua incredibile sfida contro la maestosità della natura islandese, viene accompagnato dai suoi fedeli amici animali: il cane Leo e il montone Roccia. Una storia semplice diventata parabola universale che si interroga sui valori essenziali dell’uomo e sul suo rapporto con la natura, in Islanda è considerato il vero canto di Natale.
  2. INVERNI LONTANI, Mario Rigoni Stern (ed. Einaudi). Non c’è cielo più bello e azzurro di quello d’inverno, quando c’è il sole, e non c’è sensazione più bella di mettersi in cammino per un sentiero in montagna. Per me leggere Rigoni Stern significa immergersi in quelle atmosfere senza tempo, respirare l’odore dei boschi e ritrovare la pace. Tutti i suoi libri sono simili tra loro nelle tematiche che trattano, ma non stancano mai: vi si condensano i ricordi della guerra, si celebra la sua sensibilità verso la natura e la montagna e racchiudono tutto il fascino di tempi perduti, di serate passate al lume di candela a leggere e a prepararsi al grande freddo. Ho messo due titoli esemplificativi, questo e quello che vedete qui appena sotto.
  3. IL LIBRO DEGLI ANIMALI, Mario Rigoni Stern (ed. Einaudi). Il bosco come universo narrativo e i suoi animali come protagonisti. In questo periodo dell’anno per me i libri di Mario Rigoni Stern sono un must. I racconti racchiusi in questa raccolta rievocano i millenari meccanismi della natura dove il male non è vissuto in maniera angosciosa, ma come necessaria catena di sopravvivenza. Si parla di cani, caprioli, lepri, racconti in cui la luce scende su tutto come una carezza, o una benedizione, e si cammina per i boschi respirando il profumo del legno, degli abeti, senza desiderare niente di più di quello che in quel momento si ha davanti agli occhi.
  4. L’ORATORIO DI NATALE, Göran Tunström (ed. Iperborea). Sì, io a dicembre (e forse non solo) vorrei tanto trasferirmi in un paese scandinavo in mezzo a deserti bianchi di neve e casette di legno, quindi troverete molta Iperborea in questo elenco. L’Oratorio di Natale è una delle più famose e più eseguite composizioni sacre di Bach, in questo romanzo Victor Nordensson, musicista di fama internazionale, torna dopo tanti anni a Sunne, la cittadina di provincia svedese dov’è nato, per dirigere un’orchestra di dilettanti. Questo è lo spunto narrativo per ripercorrere la parabola di tre generazioni diverse della sua famiglia in un lungo flash-back, un viaggio alla ricerca delle sue radici di artista e di uomo, in cui verranno ricordate storie in cui i personaggi devono affrontare grandi dolori, ma non si stancheranno mai di rincorrere la propria felicità.
  5. IL LIBRO DI NATALE, Selma Lagerlöf (ed. Iperborea). I paesi scandinavi pullulano di leggende sul Natale e questo è il libro perfetto se volete immergervi nelle atmosfere dei bui inverni svedesi, quando la famiglia si riunisce intorno al fuoco per raccontare fiabe e storie. La penna di Selma Lagerlöf trasforma il folklore nordico in racconti senza tempo con un linguaggio volutamente semplice che vuole però descrivere tutte le complessità che si nascondono dietro al quotidiano e l’infinita ricchezza della vita. Sono otto racconti il cui filo conduttore è un sentimento religioso molto forte che tende a sfociare in una visione magica dell’intervento divino, in una mescolanza tra cristianesimo e paganesimo tipicamente nord-europea.
  6. UNA PASSEGGIATA D’INVERNO, Henry David Thoreau (ed. La nuova frontiera). Thoreau è citato moltissimo come paladino della fuga dalla città per il buen retiro in campagna, ma letto davvero, pochissimo. Questa edizione impreziosita dalle bellissime illustrazioni di Rocco Lombardi mi sembra un buon motivo per farlo. Thoreau scelse la vita selvaggia ed estrema perché detestava com’era combinata la nostra società e il testo qui proposto va letto in questa chiave ribelle e disobbediente. La sua è una scrittura molto vivida e sensoriale che tratta con brutale sarcasmo la retorica della vita all’aria aperta come svago o moda salutista, quando parla di rigenerazione tramite la Natura, lo intende sul serio. Questo libro è un ottimo modo per immergerci in paesaggi fisici e mentali lontani dalle nostre abitudini.
  7. CANTO DI NATALE, Charles Dickens (ed. BUR) Andiamo proprio nel super commerciale, ma non potevo esimermi dall’inserire Dickens nell’elenco. Anche perché questo, come succede con Thoreau, è un titolo tanto citato, ma chi di voi in fondo l’ha letto davvero? Secondo me non tantissimi. Non mi metto neanche a parlarvi della storia perché tutti conoscono il personaggio di Scrooge, almeno nella versione disneyana interpretato da Paperon de Paperoni :), ma il mio consiglio è quello di leggerlo direttamente dalla penna di Dickens che era un eccellente ritrattista capace di caratterizzare splendidamente i suoi personaggi. Un libro da tenere nella propria biblioteca dei classici.
  8. IL REGALO PIÙ BELLO, autori vari (ed. Einaudi). Un’antologia di grandi autori – e altrettanti classici – per svelare i mille volti della magia del Natale, la festa che più di tutte ha ispirato in ogni tempo voci e storie molto diverse tra loro.

Gli ultimi due libri dell’elenco vorrei dedicarli alla letteratura per bambini e ragazzi. Quando visito una libreria faccio sempre una puntata in questo reparto per sfogliare i libri illustrati, li trovo meravigliosi, e ovviamente ce ne sono tanti anche sul tema Natale, storie che nella loro semplicità non sono mai così scontate e aiutano i bambini fin da subito a costruirsi un’immagine critica del mondo e immagazzinare certi valori etici. Ne metto due che secondo me sono molto carini:

  1. UN MILIONE DI BABBI NATALE, Motai – Maijala (ed. Terre di Mezzo). Cosa è successo quando le persone sulla Terra sono diventate troppe? Be’ anche Babbo Natale si è dovuto fare in quattro, letteralmente, anzi in molti di più! Per garantire che tutti ricevessero i regali sono comparsi un milione di Babbi Natale peccato che però anche la loro dimensione si sia ridotta in proporzione e adesso sono così piccoli che non riescono neanche a trasportare un pacchetto. Per ovviare al problema, decidono di infilarsi nelle orecchie degli adulti e sussurrare loro “Fate un regalo a ogni bambino!”. E gli adulti obbediscono sempre. Una storia molto sagace che mette in gioco la fatidica domanda: ma Babbo Natale esiste davvero?
  2. IL BAMBINO CHE PARTÌ PER IL NORD ALLA RICERCA DI BABBO NATALE, Kim Leine (ed. Iperborea). Il piccolo Andreas vive in Groenlandia e nel tentativo di dimostrare al papà, che proprio non ama il Natale, quanto sia magica questa festa lo trascina con lui a Nord su una slitta trainata dai loro cani alla ricerca di Babbo Natale. Un’avventura che li porterà su e giù per i pendii ghiacciati e che metterà in risalto questo speciale legame padre-figlio.

Bene, che ne dite a questo punto di accompagnare la lettura di tutti questi libri con dei cookies allo zenzero? Questo periodo dell’anno è fatto apposta per infornare biscotti e questa volta ho seguito una ricetta un po’ diversa dai soliti biscottini pan di zenzero, tanto carini eh, ma che di solito vengono piuttosto sottili e secchi. In questa maniera otterrete invece dei cookies dal cuore morbido e soffice, con i bordi leggermente croccanti, all’aroma di zenzero e melassa, che meraviglia! Il gusto è particolare, a me ha fatto fare un tuffo nell’infanzia perché mi ricorda il sapore delle caramelle Mou che mi dava mia nonna. Io non l’ho fatto, ma sarebbero ottimi da decorare con una glassa, intanto vi lascio la ricetta base da cui partire per sperimentare poi le vostre skills decorative. La ricetta originale prevedeva l’uso di uova e burro, io l’ho resa vegetale sostituendo gli ingredienti di origine animale.

INGREDIENTI:

  • 200 g di zucchero bianco
  • 170 g di burro vegetale ammordibito (io ho usato Vallè)
  • 40 g di salsa di mele (al posto di un uovo)
  • 100 g melassa di canna da zucchero (la trovate nei negozi tipo NaturaSì)
  • 280 g di farina 00
  • 2 cucchiaini di bicarbonato di sodio
  • 1/2 cucchiaino di sale
  • 1-2 cucchiaini di zenzero in polvere

Montate con l’aiuto di uno sbattitore elettrico lo zucchero e il burro, aggiungete poi la salsa di mele e la melassa, sempre mescolando incorporate la farina, il bicarbonato, il sale e lo zenzero. Otterrete un composto morbido ma abbastanza denso. Preriscaldate il forno ventilato a 160° e mettete un foglio di carta forno sulla placca. Prendete un cucchiaio e schiaffate sulla carta forno una quantità di impasto un po’ più piccola di una pallina da golf. Non dovete appiattirla, il biscotto prenderà poi da solo la sua forma. Fate cuocere in forno per 10-12 minuti circa, la cottura dipende chiaramente anche dalla grandezza del biscotto, se li tenete più del dovuto rischiate di farli venire troppo secchi. Una volta sfornati date spazio alla vostra fantasia per le decorazioni!