La felicità sulle montagne

La felicità del lupo è il nuovo libro di Paolo Cognetti che ancora una volta ci trasporta sulle montagne. Non conosco molto della sua vita privata, ma ho subito avuto la sensazione che ci sia dentro molto di autobiografico. Parla di Fausto, quarantenne appena separato dalla fidanzata con cui condivideva un appartamento a Milano che decide di rifugiarsi sulle montagne per trovare riparo e conforto dalla delusione generale che sembra permeare la sua vita in quel momento sul fronte affettivo, lavorativo e d’ambiente. Va a Fontana Fredda, luogo che conosce fin da bambino, si perde tra camminate e taccuini scarabocchiati e si improvvisa poi cuoco nel ristorante di Babette, anche lei fuggita da Milano tanto tempo prima e con cui Fausto sembra subito trovarsi in sintonia. A servire ai tavoli c’è Silvia, ventisette anni, anche lei irrequieta e in cerca di soluzioni per la propria vita. Tra i due scatta subito qualcosa e inizia una relazione che entrambi sanno potrebbe finire a breve ma nel frattempo scalda il loro lungo inverno a Fontana Fredda tra neve e piatti di polenta cucinati per gli sciatori e gli operai degli impianti. Silvia non sa ancora se la montagna è il suo desiderio di una vita o un rifugio temporaneo, intanto una volta arrivata l’estate, mentre Fausto lavora sempre come cuoco ma questa volta per i taglialegna, decide di prestare servizio allo storico rifugio Quintino Sella ai piedi del Felik, vetta del massiccio del Monte Rosa, dove Fausto va a trovarla appena riesce.

Nel racconto di questo segmento delle loro vite, e di tutti i personaggi che gli gravitano attorno, la montagna sembra assumere lo stesso ruolo delle montagne nelle stampe di Hokusai di cui si parla nel libro. Massicce e silenti osservatrici, impermeabili di fronte ai piccoli e grandi sconvolgimenti che le circondano, affascinanti e imprendibili nella loro imponenza, che sembra essere fatta per ricordarci quanto in fondo si perda in piccolo sciocchezze la nostra esistenza. La scrittura di Cognetti è leggera, limpida, lo è sempre stata e continua a esserlo anche adesso che il suo panorama è cambiato e si è elevato di quota. Fausto nella sua vita faceva lo scrittore e scriveva per lo più di donne, uomini e amori, storie che ormai non gli sembrano nemmeno più sue, adesso vuole parlare della natura, di un torrente di notte e di un cervo che si avvicina per bere. La parabola di Cognetti sembra simile, è lontano il tempo di Manuale per ragazze di successo, ma le dinamiche dei suoi personaggi vengono ancora trattate con la stessa finezza psicologica e l’intimità di sempre. Fausto nel dialogo con la natura ha ritrovato il sapore della vita, delle relazioni umane sincere, il desiderio della corporalità, ha riscoperto che le cose a volte semplicemente esistono in sé e per sé e non c’è nessuna filosofia o nostalgia pronta a palesarsi, tutti aspetti che a Milano erano stati schiacciati e persi nel traffico e nello smog e Cognetti sa restituircelo con immediatezza tramite il racconto di questa storia semplice. È diventato un po’ il Rigoni Stern della nostra generazione con un passato più mondano, e personalmente leggendolo ci ritrovo quella sensazione di tepore che si prova arrivando in un rifugio caldo dopo una camminata lunga e stancante.

È così che devono essere i rifugi.

IL PIATTO DEL LIBRO: In questo romanzo la cucina è molto presente proprio per il fatto che Fausto rinasce in veste di cuoco, prima nel ristorante di Babette e poi per i taglialegna d’estate nel bosco. Il fatto di sapere fare da mangiare diventa il suo tratto distintivo tra i montanari del luogo, che in questo modo vedono anche più di buon occhio l’incursione di questo forestiero nella loro piccola comunità. In un passo del libro si dice: “ecco un paio di lezioni che Fontana Fredda stava dando a Fausto Dalmasso, lo scrittore. Uno: c’è sempre bisogno di qualcuno che faccia da mangiare; di qualcuno che scriva, non sempre”. Nei menu di montagna sappiamo tutti che la carne è ovunque, quando vado in montagna la maggior parte delle volte sopravvivo grazie ai funghi, quindi grazie funghi di esistere!, e memore delle mie mille passeggiate sulle cime che non mi sembrano mai abbastanza, ho preparato un piatto di tagliatelle ai funghi porcini.

INGREDIENTI PER 2 PERSONE:

  • 200 g di tagliatelle di kamut
  • 150 g di funghi porcini (se non li trovate freschi che sarebbe il meglio, potete optare per quelli surgelati)
  • 1 spicchio di aglio
  • 1 ciuffo di prezzemolo
  • sale e pepe

Mettete a soffriggere l’aglio in una padella con un po’ di olio, quando ha preso sapore aggiungete anche i funghi porcini tagliati a cubettoni. Fateli saltare per qualche minuto a fiamma viva, salate e abbassate la fiamma lasciando cuocere i funghi per 10-15 minuti nei loro liquidi fino a totale evaporazione. Nel frattempo cuocete la pasta in abbondante acqua salata avendo riguardo di tenere da parte un bicchiere di acqua di cottura da utilizzare poi quando verrà fatta saltare insieme ai funghi per ottenere un sughetto cremoso. A questo proposito potete aggiungere anche un pizzico di amido di mais. Servite le tagliatelle ben calde aggiungendo in ultimo il prezzemolo.

CITAZIONE DAL LIBRO:

Ma tu che ci sei stato tante volte, l’hai capito perché ci vanno? Che cosa c’è su di là?
Vento.
E neve.
E poi?
Magari il sole. Se non ci sono le nuvole!
Lo Sherpa rise. Due volte l’Everest, ma era impossibile estorcergli una qualche filosofia. A parlare con lui tutto sembrava semplicemente stare al mondo: secchio, straccio, vento, sole, neve.

Ricorda con rabbia, e gusto

Don’t look back in anger, I heard you say cantavano gli Oasis. John Osborne invece la rabbia ce la mette e tanta.

Oggi volevo parlarvi di questo testo teatrale in cui sono inciampata per caso scorrendo la libreria del mio fiancè e che mi ha ricordato quanto possa essere bello anche il teatro. Mi ha ricordato anche i tempi in cui facevo corsi di scrittura creativa e tutti immancabilmente dicevano che per imparare a scrivere dei dialoghi credibili ed efficaci è necessario leggere tanto buon teatro.

Questa pièce si colloca nell’Inghilterra degli anni ’50. Entriamo nell’appartamento di Alison e Jimmy Porter, una giovane coppia sposata da tre anni che vive con pochi mezzi insieme a Cliff Lewis, amico intimo di Jimmy. Alison viene da una famiglia dell’alta borghesia, Jimmy è un working class man di grande cultura, che disprezza tutti i valori che la famiglia di Alison incarna.

Jimmy è un personaggio sfuggente con cui risulta allo stesso tempo facile e difficile empatizzare, è l’incarnazione di quella rabbia di cui si parla nel titolo. È sincero fino a essere crudele, irrequieto, pressante, alla costante ricerca di pretesti contro cui inveire, che siano episodi di cronaca o tratti delle persone che stanno a lui vicine, è a momenti violento, ma di quella violenza che sottintende una grande vulnerabilità.

Alison appare più dimessa, rassegnata, circondata da un alone di contegnoso disdegno. È incinta, ma non riesce a trovare il coraggio di dirlo al marito perché non sa come accoglierebbe una notizia del genere, riesce solo a confidarsi con il suo amico Cliff. Per gran parte del primo atto Jimmy, tra la lettura di un giornale della domenica e un altro, si prodiga in lunghe tirate contro l’autocompiacimento della classe borghese che vive in una sorta di annullamento dei sensi, non risparmia nessuno, nemmeno frecciatine maligne contro la moglie che nel mentre stira i panni. Un momento di sincera tenerezza tra i due si apre verso la fine dell’atto quando rivelano questo curioso gioco per cui lui sarebbe un grosso orso burbero e Alison un piccolo scoiattolo, di cui hanno due pupazzi di pezza sul cassettone in camera da letto. Questo gioco segreto all’essere animali che si dimenano, si rincorrono e si uniscono poi nell’atto d’amore è una sorta di sigillo al loro matrimonio. Il ritrovato equilibrio si spezza poco dopo quando arriva la notizia che Helena, un’attrice amica di Alison, è in città e verrà a trovarli. Jimmy ne risulta profondamente disturbato, fino ad augurare ad Alison di avere un bambino e di vederlo morire così da potersi svegliare dal placido sonno che la intorpidisce.

Nel secondo atto lo status quo si spezza definitivamente: Alison, forse anche grazie alla persuasione dell’amica che si ferma per un po’ di tempo a vivere con loro, decide finalmente di lasciare Jimmy e tornare dai propri genitori. Si svelano però diversi retroscena che permettono di inquadrare meglio perché Jimmy si comporti in questo modo. Lui stesso racconta dell’esperienza dolorosa vissuta a fianco del padre morente mentre sua madre se ne infischiava; il padre di Alison, il colonnello Redfern, mentre arriva a prendere Alison si apre con la figlia e ammette che lui e la moglie sono stati forse troppo duri con Jimmy quando i due avevano deciso di sposarsi e che quindi la rabbia di Jimmy abbia effettivamente ragione d’essere. Alison è stupita di fronte alle parole del padre, ma questo non le impedisce di tornare sui suoi passi e abbandona effettivamente Jimmy alla fine del secondo atto.

A questo punto Helena e Jimmy, che sembravano provare un odio viscerale nei confronti uno dell’altra, diventano amanti e il terzo atto si apre allo stesso modo in cui si è aperto il primo solo che Helena ha preso il posto di Alison. Finché quest’ultima non rimette piede sulla scena, scompaginando questo nuovo quadro che si era venuto a creare. Le due donne hanno un confronto, pacato, Alison confesserà di avere perso il bambino, mentre Helena ammette di non essere fatta per portare avanti una vita del genere e decide di andarsene. Jimmy e Alison, entrambi grandi sconfitti della vita, decidono di tornare insieme e lenire ciascuno il proprio dolore nel loro gioco privato di orso e scoiattolo.

Se questa pièce fosse soltanto il documento di una rabbia contro l’establishment, contro l’Inghilterra conservatrice, contro alcuni ovvi dati della realtà e le sue ingiustizie, forse non avrebbe rappresentato niente di particolarmente nuovo. C’è qualcosa di più che la rende degna di essere letta ed è la rappresentazione psicologica dei suoi personaggi. Jimmy catalizza su di sé tutta l’attenzione ed è un fuoco d’artificio, ma Alison risulta in fin dei conti uno dei personaggio più complessi. Sembrerebbe intrappolata nella classica dinamica di moglie sottomessa al marito, ma in realtà lei è una vittima consenziente di Jimmy, ha consapevolmente accettato un matrimonio costruito sulle fondamenta ideologiche del marito, sapeva ciò a cui andava incontro. Alison non ha niente dell’irruenza invettiva di Jimmy, ma tacitamente si avverte che ne condivide gli ideali e in effetti ha la forza di staccarsi dalla sua famiglia e dal suo ambiente che le avrebbe garantito un’esistenza più che tranquilla per vivere con Jimmy, in una sorta di continua espiazione delle sue colpe di classe. Jimmy di contro prova sicuramente un sincero affetto per lei, ma nello stesso tempo la tratta come se fosse una sorta di trofeo strappato dalle morse del nemico. Sono entrambi delle persone deluse dalla vita che non possono nulla se non rifugiarsi nel loro universo appartato rappresentato in quella soffitta dove la domenica si leggono i giornali, si fanno battute oscene, ci si arruffa, si beve il tè e si ascoltano i concerti alla radio. C’è un passaggio in cui Helena definisce Jimmy in questa maniera: “Non c’è più posto per la gente come lui… nel mondo del sesso, della politica… di tutto. Per questo è così inconcludente. Certe volte, quando lo ascolto parlare, ho l’impressione che si senta ancora in piena rivoluzione francese. E sarebbe il suo vero posto, del resto. Non sa dove si trova, né sa dove sta andando. Non farà mai niente e non conterà mai niente.” Jimmy si vanta spesso di essere una persona molto intelligente, ma non ha la lucidità necessaria, calata nel reale, per ammettere la verità delle parole di Helena, o se l’ha capito vuole comunque fuggirne e qui sta tutta la commovente tragicità di questo personaggio che nel finale si trasferisce anche su Alison. Sfumata la possibilità di avere un figlio che le avrebbe garantito forse un appiglio più certo sul reale, anche ad Alison non resta che tornare nella tana, a interpretare la scoiattolina che si prende cura dell’orso.

IL PIATTO DEL LIBRO: i tre atti di questo testo teatrale hanno luogo tutti la domenica. Una domenica inglese di provincia, quando magari fuori piove, ci si annoia e non si ha niente di particolare da fare. Quest’atmosfera di caldo torpore mi ha fatto ritornare alla mente quegli abbondanti piatti della tradizione inglese, caldi e sostanziosi, come per esempio la Shepherd’s Pie, che viene tradizionalmente preparata con carne d’agnello ricoperta da una purea di patate. Per renderla totalmente plant-based, ho utilizzato al posto dell’agnello le lenticchie e credo si sposi benissimo con le atmosfere del testo di Osborne. Vediamo insieme come prepararla, ho preso ispirazione da quella di Minimalist Baker.

INGREDIENTI:

PER LA PUREA DI PATATE

  • 1 kg di patate
  • 3-4 cucchiai di burro vegano
  • sale, pepe, noce moscata

RIPIENO

  • 1 cipolla media
  • 2 spicchi di aglio
  • 2 cucchiai di concentrato di pomodoro
  • 250 g di lenticchie secche
  • 1 lt di brodo vegetale
  • 1 confezione di verdure miste congelate (280 g ca)
  • erbe aromatiche (io avevo solo la salvia, ma il timo o il rosmarino sarebbero perfetti)
  • sale, olio, pepe q.b.

PROCEDIMENTO:

  1. Sbucciate le patate e tagliatele a metà. Mettetele in una pentola e ricopritele con acqua. Portate a bollore, salate e coprite con un coperchio abbassando il fuoco. Lasciate andare per circa 30 minuti finché non saranno molto morbide.
  2. Intanto tagliate la cipolla sottile e fatela rosolare con un po’ di olio e i due spicchi d’aglio in una pentola capiente, aggiungere un po’ di brodo se necessario. Passati circa 5 minuti aggiungete il concentrato di pomodoro, le lenticchie, il brodo, le erbe aromatiche. Portate a bollore e abbassate poi il fuoco coprendo con un coperchio. Lasciate cuocere a fuoco basso finché le lenticchie saranno morbide, ci vorranno circa 35-40 minuti.
  3. Intanto scolate le patate quando saranno pronte e trasformatele in una purea con l’aiuto di uno schiacciapatate. Aggiungete anche il burro vegetale, sale, pepe e un pizzico di noce moscata, mescolate (se il composto risulta troppo denso potete ammorbidirlo anche con un po’ di latte vegetale).
  4. Circa 10 minuti prima della fine della cottura delle lenticchie aggiungete anche le verdure congelate. Mescolate e coprite per far mescolare insieme i sapori.
  5. Verso fine cottura togliete il coperchio e alzate il fuoco soprattutto se è necessario eliminare gli ultimi liquidi in eccesso. Per rendere più consistente il composto di lenticchie è possibile aggiungere anche 2 o 3 cucchiai di purea di patate o un cucchiaio di amido di mais. Assaggiate e regolate eventualmente di sale e pepe.
  6. Preriscaldate il forno a 250°.
  7. Trasferite le lenticchie in una casseruola da forno e ricopritele con la purea di patate, se avete un sac a poche potrebbe risultare molto comodo.
  8. Infornate e lasciate cuocere per circa 15 minuti, gli ultimi con l’opzione grill attivata per rendere più dorate e croccanti le patate.

CITAZIONE DAL LIBRO:

JIMMY (con voce bassa e rassegnata) Tutti vogliono sfuggire alla pena di essere vivi. E soprattutto vogliono sfuggire all’amore. (Va alla “toilette”) L’ho sempre saputo che qualcosa del genere sarebbe successo… un dramma di coscienza tipo la moglie malata… che avrebbe sconvolto i tuoi sentimenti delicati di fiore di serra. (Raccoglie la roba di Helena sulla “toilette” e va all’armadio guardaroba. Fuori cominciano a suonare le campane) È inutile cercare di ingannarsi sull’amore. Non puoi accettarlo come si accetta un impiego facile, senza sporcarti le mani. (Le porge la roba e apre l’armadio) Ci vogliono muscoli e coraggio. E se non riesci a sopportare l’idea… (stacca un vestito dalla stampella) di sporcare la tua bell’anima di bucato… (le si avvicina) farai meglio a rinunciare decisamente alla vita e avviarti alla santità… (le dà il vestito) perché come essere umano, sei fuori strada… Bisogna scegliere tra questo mondo e quell’altro… (Helena lo guarda un attimo ed esce rapidamente. Jimmy è scosso ed evita gli occhi di Alison. Poi va alla finestra. Ci si appoggia e batte il pugno sul telaio) Oh, quelle campane!